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Europa League : Roma nel dramma, si qualifica lo Slovan Bratislava

26 agosto 2011 1.307 views Nessun Commento

(di Alessio Nardo) E’ una di quelle serate strane, complicate. Ti autostritoli in tutta una serie di ragionamenti e chiedendoti: “Ma chi me l’ha fatto fare d’esser romanista? Perché proprio a me?”. Poi passa. Ci si sveglia il giorno dopo e si riparte, perché la Roma è per sempre. Una malattia, una fede, una passione eterna e infinita. Già, il giorno dopo. Ma questo benedetto “day after” deve ancora arrivare, e la notte è lunga e tempestosa. Una notte amara, profondamente dolorosa e lancinante. Nei miei 24 anni trascorsi da tifoso romanista, penso di non aver mai subito un’umiliazione così pesante. Fuori dall’Europa il 25 agosto. Stagione fallimentare ancor prima del suo inizio. Una macchia indelebile, una ferita enorme che resterà aperta per l’intera annata. Non mi va giù, non c’è verso. Il modestissimo Slovan Bratislava, dopo aver vinto di misura il match d’andata in Slovacchia, è venuto all’Olimpico a prendersi il pareggiotto qualificazione. 1-1, roba da matti. La Roma, che solo un anno fa si beava di un sorteggio comodo in Champions League (con Bayern, Basilea e Cluj), che solo tre anni fa sbancava di prepotenza il “Santiago Bernabeu” di Madrid, torna negli spogliatoi col cuore nero. Distrutta, declassata, martoriata da una sentenza brutale. Resterà impresso nella storia il pareggio di giovedì sera. Non lo dimenticheremo mai. E’ un punto di non ritorno, il fondo, l’atto che segna definitivamente l’inizio dell’anno zero. Peggio di così non si può fare. Da quanto ce lo ripetiamo? Ora si dovrebbe ripartire. Ma come? Troppi quesiti, troppe domande, troppi perché. La realtà è un’amarezza che non si cancella. Chissà quanto ci vorrà, per dimenticare.

Di questo Roma-Slovan mi tocca parlare, anche approfonditamente. Come al solito, come sempre, il tifoso romanista ci aveva creduto. E stavolta non si trattava di una di quelle imprese proibitive per le quali l’intera platea è solita muoversi pur consapevole di un esito quasi scontato. No, stavolta l’impresa (se così si può definire) era alla portata. Lo Slovan, un banalissimo preliminare d’Europa League. Uno scherzo, per una Roma vera. Amara realtà per l’indecente Roma dei giorni d’oggi, lontana parente della squadra che negli ultimi anni ha sfiorato due scudetti, vinto tre coppe e raggiunto per due volte consecutive i quarti di finale di Champions League. Di quel meraviglioso marchingegno non è rimasto più nulla. Qualche interprete ormai logoro e anziano, e basta. Il resto è nebbia, tristezza, malinconia, frustrazione. Eppure lo Slovan non faceva paura a nessuno. Classico impegno estivo, da sbrigare senza eccessivi patemi d’animo. Sulla carta ogni discorso è bello. Poi sopraggiunge il campo, ci sono i fatti, ed uno sport come il calcio sa sempre riservarti sorprese piacevoli come una fidanzata al letto col tuo migliore amico. Non ci eravamo spaventati. Lo 0-1 di Dobrotka? Solletico, semplice solletico. Tutti allo stadio, convinti di vedere una versione “B” (volendo essere ottimisti) della Roma scintillante ed efficace. Dai due ai quattro gol di scarto: pronostici presto fatti, piena convinzione in tutti. DiBenedetto in tribuna, un nuovo acquisto annunciato (una rarità…), tanta voglia di riassaporare la propria passione. E’ già finita, senza ulteriori appelli.

L’entusiasmo del popolo giallorosso è incantevole, magico, poetico. 50.000 persone (circa), un Olimpico pieno come ai bei tempi. Nonostante un caldo feroce, nonostante la partita non troppo affascinante. Luis Enrique non regala sorprese come all’andata e schiera l’ormai classico 4-3-3: Stekelenburg in porta; Cicinho, Cassetti, Burdisso e José Angel in difesa; Perrotta, Viviani e Simplicio a centrocampo; Totti prima punta assistito da Caprari e Bojan ai lati. Slovan con qualche titolare in più rispetto a Bratislava ed un atteggiamento tattico logicamente improntato sulla difensiva. Il pubblico freme, c’è voglia di vedere all’opera un po’ tutti. Dal veterano con la fascia di capitano al braccio sino al “pupetto” della cantera blaugrana. Entusiasmo al fischio d’inizio. Un paio d’ore più tardi, altre scene e altri umori. Ma andiamo per gradi. Si parte e Caprari, dopo qualche secondo, sfonda subito in area: il pallone arriva a Bojan che calcia un rigore in movimento. Sfera lenta e rasoterra tra le braccia di Putnocki. Lo Slovan tenta i primi timidi affondi e si capisce che la Roma, in particolare sulle fasce, irresistibile non è. José Angel ormai lo abbiamo capito: intrigante sul fronte offensivo, svagato “alla Riise” dietro. Difetti e pregi di Cicinho non li scopriamo ora, ma il brasiliano offre alla platea un triste regalo: fuori per problemi fisici al 7′, dentro Aleandro Rosi. Non Heinze (con Cassetti spostato a destra), come sperano tutti. All’11′ arriva il guizzo dell’illusione: calcio d’angolo di Totti, spaccata acrobatica di Perrotta e si va in vantaggio. Sembra tutto facile. Troppo facile. L’inizio della goleada? Macché. Parte l’agonia di una Roma che tenta in ogni modo di raddoppiare, senza riuscirci.

L’organizzazione difensiva inizialmente funziona. Aldilà di alcune sbavature singole (di Cassetti in particolare), il reparto arretrato non soffre. Viviani fa il suo con più personalità rispetto a Bratislava, il lento Simplicio tenta di far valere un piedino destro dolce dolce e il goleador Super Simo sta lì, sul centrodestra, a presenziare da consumato professionista. Totti è il direttore d’orchestra, gestisce il gioco e organizza, cuce e ricama. Uno spettacolo per gli occhi. Almeno a livello di preliminari d’Europa League, Francesco è ancora il numero uno. A faticare son gli esterni: Bojan non carbura, Caprari ci mette sostanza ma la qualità alberga altrove. Luis Enrique tenta una mossa di delneriana memoria: inverte le ali. Poco cambia. Nella ripresa si torna alle posizioni originarie e la Roma prova a dare maggiore intensità al suo gioco. I risultati si vedono. Seppur a fatica, le occasioni sopraggiungono a profusione: clamorose quelle capitate a Caprari e José Angel (colpi mancini di un soffio al lato). Ci prova anche Totti, da fuori area (respinta di Putnocki) e su punizione (fuori). Il 2-0 non c’è, ma la Roma domina. Sugli spalti c’è attesa più che preoccupazione, anche se i minuti scorrono impietosi. Luis Enrique, forse preoccupato, forse non si sa cosa, dimentica l’eventualità dei supplementari e si gioca alla svelta i due cambi rimanenti. Al 68′ Caprari, stanchino, lascia il posto al 17enne Verre (ma non era meglio l’esperienza di Taddei?). Poi, l’atto epocale: al 74′ si nota Okaka a bordocampo, pronto a subentrare. Tra tifosi ci si guarda per un attimo. Nemmeno il tempo di sbandierare un’ipotesi, e il tabellone emette il suo verdetto: esce il numero 10. Proprio lui, il migliore in campo, Francesco Totti. Un assordante “NO” collettivo accoglie la scelta di Luisito, e Francesco lascia l’arena travolto dai fischi (non rivolti a lui, evidentemente, bensì all’incomprensibile scelta del mister spagnolo). Viene a mancare la luce, inizia a serpeggiare preoccupazione. Eppure si va avanti, con fatica. Ma la Roma è spenta, non ne ha più.

Un’azione goffa e piena d’errori indivivuali all’82′ fa calare il gelo sull’Olimpico: il rinvio farlocco è di Cassetti, su traversone dalla sinistra di Guede. Stepanovsky è puntuale all’appuntamento con la gloria e di destro non perdona: 1-1. Ci si guarda affranti, ammutoliti, increduli. E’ successo davvero, lo Slovan Bratislava, come all’andata, ha fatto gol al primo tiro in porta, cancellando in un attimo lo stradominio romanista. E’ una serata assurda, folle. Il pubblico se la prende ferocemente con Luis Enrique, gli urla di tutto: “Buffone” in particolare. Restano quasi dieci minuti da giocare, ma la gente non ci crede più. La Roma con la forza dei nervi si rigetta in avanti, e all’89′ un ostinato Okaka, da terra, serve Bojan tutto solo davanti a Putnocki. Il giovane spagnolo condisce la propria serata horribilis calciando sul corpo del portiere slovacco e rimediando gli insulti dell’intera Tribuna Tevere, che trova nel nuovo corso “iberico” il principale obiettivo sul quale riversare frustrazione e amarezze. I minuti di recupero amplificano la delusione di un popolo esausto. Al triplice fischio, s’assapora di tutto: la rabbia, la voglia di non crederci, la semplice tristezza. C’è chi si prende a schiaffi, sperando di svegliarsi da un incubo. Chi invece coglie l’amara realtà, perdendosi in sguardi rivolti nel vuoto. C’è anche chi ha la forza di contestare. La gente romanista subisce l’ennesima mazzata, forse la peggiore delle umiliazioni possibili. Fuori dall’Europa in piena estate, per mano di una modestissima squadra slovacca, senza arte né parte dell’elite europeo del futbol.

Colpa di tutti, dal primo all’ultimo. Di Luis Enrique, che in quattro mesi non è nemmeno riuscito ad imparare l’italiano (cosa grave, a mio giudizio) e che non ha ancora capito cosa fare di questa Roma. Di Sabatini, che dal 1° al 25 agosto ha effettuato ZERO operazioni in entrata, pur consapevole di un impegno europeo alle porte. Della proprietà (intesa come Unicredit al 40% e americani al 60%) travolta da un tragicomico closing estivo anzichè pensare al bene supremo: la squadra. E ora, che si fa? Niente. Si riflette. Come fu amara la notte di Roma-Samp del 25 aprile 2010, è amara questa. Ancor di più, non c’è dubbio. L’auspicio è che il cerchio si sia chiuso: in questi 16 mesi, il tifoso giallorosso ha vissuto di sole amarezze, derby esclusi. Basta, pietà. Si chiuda dignitosamente il mercato, si lavori meglio sul campo, si riporti questa Roma alla dignità che le spetta. Andare avanti così, non è più digeribile. Per stanotte, chiudo i battenti. E’ meglio. L’amarezza è enorme, son privo di lucidità per continuare. Al sorgere del sole, le idee torneranno più chiare e il morale un pelino più alto. Sopravviveremo, ci risolleveremo, rialzeremo di nuovo la testa. Come abbiamo sempre fatto. Noi romanisti, con tutti i nostri difetti, abbiamo un pregio inscalfibile: siamo tosti, siamo rocce. Bastano poche ore e anche la più atroce delle amarezze va in archivio. Dimenticherò anche questa. Prima, la notte ha da passà.

LE PAGELLE

MAARTEN STEKELENBURG 6
Inoperoso per l’intera gara, incolpevole (a differenza dell’andata) sul gol dello Slovan.

CICINHO SV
Confermato titolare, si fa male ed esce dopo sette minuti. E per la Roma non è un bene, visto chi entra (dal 7′ ALEANDRO ROSI 4,5 – Non ne indovina una, né davanti né dietro. Come al solito).

MARCO CASSETTI 4,5
Sette giorni fa a Bratislava aveva ben impressionato da centrale. Stavolta fa acqua da tutte le parti. Rischia di combinarla grossa nel primo tempo con un retropassaggio sciagurato, fa la frittata all’82′ servendo sul piatto d’argento il pallone dell’1-1 a Stepanovsky.

NICOLAS BURDISSO 6
Non è e non sarà mai Samuél, ma sa reggere il reparto con personalità. Come sempre è l’ultimo a mollare.

JOSE’ ANGEL VALDES 6
Ottime cose sul piano offensivo. Personalità, buoni numeri, anche un (maledetto) gol fallito a metà ripresa. Da rivedere in fase difensiva, anche se stavolta Bagayoko non lo fa soffrire oltremodo.

SIMONE PERROTTA 5,5
Fa gol e sembra l’uomo della provvidenza. Dopo 30′ già inizia ad arrancare, nella ripresa è invisibile e inconsistente. Dagli spalti gli urlano “Nonno Perrotta”. E’ il segno dei tempi.

FEDERICO VIVIANI 6
Qualche errorino di troppo è presente nella sua partita, ma Federico si danna l’anima e fa intravedere molte cose buone. Non è facile, a 19 anni, prendere in mano il centrocampo della Roma nel ruolo che sarà di De Rossi.

FABIO SIMPLICIO 5,5
Lento, lentissimo. Una tartaruga in mezzo al campo. Il piedino ce l’ha, ma non basta. Ci vuole ritmo.

GIANLUCA CAPRARI 5,5
Ha solo 18 anni, e di lui vanno sottolineati sacrificio e dedizione. Esce tra gli applausi, e mi associo in parte. Non basta, almeno a me. Tra andata e ritorno, il “canterano” romanista ha sulla coscienza almeno tre clamorose pallegol sciupate. Errori gravi, a conti fatti (dal 68′ VALERIO VERRE 5 - Venticinque minuti di anonimato).

FRANCESCO TOTTI 6,5
Finché resta in campo è il factotum romanista. Regista offensivo sopraffino, collabora col centrocampo e unisce i reparti. Va al tiro, sia su azione che da fermo, gioca molto bene sino all’inspiegabile scelta di Luis Enrique. Gli resta l’affetto (immancabile) della sua gente, che non lo abbandona mai (dal 74′ STEFANO OKAKA S.V. - Si becca, non per colpa sua, i fischi dell’intero stadio all’atto dell’ingresso in campo. Viene impiegato da esterno destro, fa quel che può. Offre a Bojan un buon assist, poi sprecato, all’89′).

BOJAN KRKIC 4,5
Nella disastrosa serata della Roma, finiscono nel mirino gli spagnoli. Oltre all’allenatore, inevitabilmente anche Bojan si becca critiche, insulti e improperi. Parte male, fallendo dopo pochi minuti un gol facile facile. Poi corre, giochicchia, tenta di trovare una posizione congeniale al suo gioco. Niente da fare, resta spaesato. Nel finale sbaglia un altro gol clamoroso, e la Tevere non perdona.

ALL. LUIS ENRIQUE 4,5
La sua immagine vincente, il suo volto da duro, la sua immensa storia da calciatore erano le principali garanzie portate in dote da Luis per la difficilissima avventura sulla panchina giallorossa. Dal cenno di “ok” immortalato a Trigoria i primi di giugno ad oggi, 25 (ormai 26) agosto, sembra passata un’eternità. I tifosi erano con lui, ora già gli voltano le spalle. Assurdo il trattamento riservato a Totti (sia all’andata che al ritorno), disastroso l’esito del primo impegno uffciale della stagione. Fuori dall’Europa ad agosto, roba da andarsi a nascondere. La gente ora si chiede: ma questo è il nuovo Guardiola, o il nuovo Carlos Bianchi?

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